Materiali e metodi
La saldatrice endorale venne presentata alla comunità scientifica nel 1978 dal dottor Piero Mondani al Congresso internazionale di implantologia e chirurgia maxillo-facciale di Ortisei. L’apparecchio elettromedicale proposto suscitò subito un notevole interesse.
La metodica della saldatura endorale fu sperimentata successivamente alla Scuola di Specializzazione in Odontostomatologia dell’Università di Modena che garantì che tale tecnica non arrecava alcun danno ai tessuti con cui entrava in contatto (7).
Anche attualmente, dopo l’acquisizione dei requisiti comunitari e la relativa certificazione, la saldatrice (commercializzata da numerose ditte) è stata proposta in corsi universitari di implantologia elettrosaldata.
La “biocompatibilità” della saldatura che avviene in bocca sulle parti emergenti e ravvicinate degli impianti di titanio infissi nei tessuti viventi è dovuta alla velocità di passaggio della corrente con un micro tempo-lavoro di 3 millesimi di secondo.
Il micro-tempo, abbinato ad una calcolata pressione degli elettrodi sulla struttura da saldare, contribuisce ad evitare che l’enorme gradiente calorico (1684°C) si possa estendere oltre il punto di saldatura evitando qualsiasi propagazione ai tessuti adiacenti.
Il titanio, oltre ad essere un cattivo conduttore, ha inoltre una bassa conducibilità termica molto vicina a quella dello smalto.
Mentre le saldatrici industriali fondono il titanio solo in presenza di argon ed in assenza dell’ossigeno dell’atmosfera, la piccola saldatrice di Mondani salda gli impianti in titanio anche in presenza di aria, acqua, sangue e saliva.
La saldatrice consente di congiungere e solidarizzare fra loro impianti (monofasici one pieces e bifasici two pieces) sia per immobilizzarli temporaneamente nel periodo dell’osteogenesi includente, sia per mantenerli sempre uniti.
Si è parlato intenzionalmente di “saldatura endorale”, benché tecnicamente non ci si trovi di fronte né ad una fusione né ad una vera saldatura, ma ad un processo ancora più stabile di sincristallizzazione molecolare (8-15).
Nei casi clinici presentati sono stati utilizzati impianti in titanio one piece del tipo “vite bicorticale di Garbaccio” (brevetto IT 1972, US 1983) con diametro alla spira di 3,5 e 4,5 mm, minimpianto MUM con diametro alla spira di 2,6 mm (Cylindrical thtreaded PIN for dental prosthesis implantations – brevetto US 1987), prodotti nel rispetto delle normative CE.
La lunghezza dell’impianto è variabile, in funzione del raggiungimento della corticale profonda per ottenere il bicorticalismo (16-20).
Come struttura di supporto per il “bilanciamento profondo” è stato usato un ago in titanio tipo Scialom del diametro di 1,2 mm certificato per uso medicale e di lunghezza variabile sempre in funzione del raggiungimento del bicorticalismo.
L’ago va inserito in direzione divergente rispetto a quella dell’impianto principale rispettando l’integrità dei denti contigui e spinto in profondità fino a raggiungere ed impattare la corticale profonda.
Una volta raggiunta la profondità di impatto corticale tramite saldatrice endorale va saldato all’impianto in corrispondenza dell’emergenza osteo-mucosa per formare un unico moncone protesico (21-24).
La preparazione del sito dell’impianto a vite viene eseguita con le frese autocentranti di Pasqualini, con diametro progressivamente crescente da 1,1 mm a 2,5 mm, montate su micromotore con raffreddamento liquido (soluzione fisiologica).
Nello specifico, con la fresa sonda del diametro di 1,1 mm si raggiunge la corticale profonda. Dopo il controllo radiografico si riporta la misura ottenuta sulle frese autocentranti completando la preparazione del sito implantare.
Le frese autocentranti sono dotate di punta triangolare tagliente e di dorso triangolare smussato. Questa importante caratteristica permette di realizzare tunnel osteotomici molto precisi e poco traumatici per l’osso ricevente (25).
L’inserimento dell’ago si avvale della stessa preparazione iniziale del sito con la fresa sonda di 1,1 mm con la quale si raggiunge la corticale profonda. Nel foro osseo così ottenuto si inserisce l’ago di 1,2 mm e lo si accompagna lungo il tragitto preparato con tecnica press-fit mediante un martelletto chirurgico.
La rigenerazione del deficit osseo ( nei casi in cui è presente) viene gestita con un mix composto da un putty di osso suino, idrossilapatite 200-500 micron con microgranulometria nanometrica di superficie e acido polilattico-poliglicolico.
A protezione dell’innesto eterologo, viene posizionata una membrana liofilizzata di pericardio bovino (26).
Il carico immediato si realizza con corone in resina acrilica mentre la protesi definitiva viene realizzata in metallo-ceramica.
La metodica indicata prevede l’utilizzo di anestesia plessica (articaina con adrenalina 1:100.000) copertura antibiotica (amoxicillina cps 2 gr/die per 5 gg.) ed antinfiammatori al bisogno (FANS).
I casi clinici presentati sono stati realizzati in accordo con gli standard etici stabiliti nella Dichiarazione di Helsinki ed il consenso del paziente.